venerdì 29 giugno 2012

Libera recensione - I ponti di Madison County, di Robert James Waller

Non amo, generalmente, i romanzi d'amore. Li trovo per la maggior parte ridicoli e insulsi, poveri, paradossalmente, dei sentimenti più veri e profondi; quelli difficili da spiegare a parole e convincerli ad animare le pagine di un libro, quelli troppo vicini al nocciolo più interno di noi, quelli che rifiutano ogni forma data.
Ma questo libro, questo libro ne è straordinariamente avvolto.
Narra ed esprime quel sentimento così arduo da provare in una vita, così folle da credere di impazzire. Quel genere di sentimento che ti stravolge il volto (lo scolpisce fino a rivelarne la vera unica essenza, il volto che ha la nostra anima), che ti cambia il corpo mentre lo attraversa. Un sentimento che raggiunge vette così elevate da essere impossibile da mantenere se non in quel breve momento della sua vita...un sentimento che non avrebbe senso se vissuto nell'ordinarietà degli anni e della convivenza, ma destinato a rimanerci dentro per sempre e che per sempre terrà stretta nel pugno una parte di noi, tanto da farci credere di non aver mai vissuto davvero prima di lui.
Se almeno una volta abbiamo amato così, allora la nostra vita, senza alcuna ombra di dubbio, ha meritato di essere vissuta.
E per quanto male possa avermi fatto, sono felice di essere tra chi può dire di averlo provato.

Da questo libro:

"Se, in ogni caso, vi accosterete alle pagine che seguono con una compiacente sospensione dell'incredulità,  [...] sono certo che vivrete anche voi la mia stessa esperienza. Forse, negli spazi d'indifferenza del vostro cuore, ne troverete perfino uno, come accadde a Francesca Johnson, per ballare ancora."

"Ma, ragazzi, sono ossessionato dalla storia che mi raccontò, la storia sua e della donna. E' per questo che ogni martedì sera tiro fuori il mio sax e suono il pezzo che ho composto per lui. Lo suono qui, tutto solo. E mentre suono, guardo la fotografia che lui mi regalò. C'è qualcosa, in quella foto, non so che cosa sia, ma quando suono la sua canzone non riesco a smettere di guardarla. Me ne sto lì, verso il crepuscolo, e faccio piangere il mio sax e suono per un uomo che si chiamava Robert Kincaid e una donna a cui lui dava il nome di Francesca."

martedì 26 giugno 2012

Il futuro, per ora, non esiste


Il fatto è, temo, che quando si comincia a parlare della propria vita, si potrebbe non smetter più. Forse non si dovrebbe smetter più, perché non si può vivere senza ricordare, e per ricordare bisogna parlare. 
Il fatto è, temo, che poche volte si può star certi di non perdere tempo, purtroppo. Ché parlare di sé non è certamente come bere del té, non lo si fa per passare il tempo o ingannarlo, si fa per celebrarlo, e forse, in qualche modo, ritrovare il filo che s'era perduto in qualche anno, qui o là.
il fatto è, temo, che il tempo non è sufficientemente capiente da comprendere il passato ed il presente.
E il futuro?
Il futuro, per ora, non esiste.

lunedì 25 giugno 2012

Adesso, San Francisco è ancora più lontana

Ci sono cose che fanno parte di noi molto più di quanto avremmo potuto immaginare. Fanno parte di noi perché esistevano prima che noi nascessimo; noi siamo sbucati in un mondo in cui alcuni suoni, alcuni rumori o presenze, componevano l'ordine delle cose già da tempo. Quei suoni, quei rumori, quelle forme, le abbiamo assimilate, fatte nostre, respirate...ci sono entrate dentro senza fatica. E così, quando poi a un certo punto spariscono, un piccolo infinitesimale tassello se ne va da noi, per sempre. E ci mancano, ci mancano con una tale violenza da risultare quasi inconcepibile.
Bè, c'è una cosa che ha fatto parte di me fin da quando ero tanto piccola da non arrivare a guardare oltre la ringhiera del balcone della vecchia casa in cui abitavo, e così ci guardavo attraverso: il tram. Me le ricordo benissimo quelle vecchie carrozze verdi traballanti ma rassicuranti, passare davanti a casa salutando con un fischio singhiozzato e poi sparire verso le loro destinazioni. Avvertivo il vibrare sordo dei binari, le scintille dei cavi, il fischio in lontananza e correvo fuori aggrappandomi alla ringhiera, gli occhi sempre pieni di meraviglia che non si spegneva mai. I tranvieri rallentavano vedendomi, e mi dedicavano un bel fischio, così saltellavo rispondendo loro tutta felice. "Mamma, mamma!! il tram mi ha salutato!!", dicevo, e a dire il vero la frase usciva più o meno così: "Il tam mi ha talutato!". Le carrozze si sono avvicendate negli anni, il tram ha cambiato forma, misura e colore...io sono cresciuta, tante cose sono successe, molte altre cambiate, ma il suo fischio e quel vibrare energico dei binari sono sempre rimasti gli stessi. Ho cambiato casa, anima e "vestito", ma il tram eccolo là a sferragliarmi davanti.
Puntuale ogni giorno, senza mancare un colpo.
E' passato anche quel lunedì mattina di tanto tempo fa, inconsapevole del fatto che il mio mondo fosse appena andato distrutto, che la parte migliore di me se ne fosse andata poche ore prima per non tornare mai più. Inconsapevole del fatto che il suo fischio, quel giorno, fosse stata la prima cosa che avessi sentito davvero.
E ora...ora non c'è più.
L'hanno "soppresso" qualche mese fa, per lasciare posto, dicono, a un mezzo più efficiente e moderno, più silenzioso...
Più silenzioso.
Ed è proprio il silenzio che mi pesa. Tanto che qualche volta, nei giorni strani che capitano come frutti insospettabilmente amari, a me il fischio pareva ancora di sentirlo rimbalzare tra i muri del paese. Forse perché le rotaie erano rimaste, salde e aggrappate al terreno, arrugginite, certo, ma forti e diritte a promettere che lui sarebbe tornato. Almeno fino a qualche giorno fa, quando improvvisamente hanno tolto anche quelle. Le hanno tolte con ruspe e camion, e loro sono venute su come se fossero morbide come burro, leggere come una piuma, come se fossero state solo appoggiate per sbaglio. Come se non avessero portato per decenni il peso di carrozze sempre più pesanti cariche di persone con i loro bagagli di paure, gioie, sogni, speranze e dolori.
Qualcosa si è spezzato. Il fischio se n'è andato, per sempre.
Per qualche strana ragione ho pensato "Adesso, San Francisco è ancora più lontana...", come se quelle vecchie rotaie potessero attraversare regioni, nazioni e oceani per approdare oltre la baia e correre attraverso la città più bella del mondo (almeno per me) insieme ai suoi favolosi e coloratissimi tram. Come se bastasse solo percorrerle, per arrivare lontano, anche solo un po' più lontano. I solchi lasciati dalla loro esistenza per ora si stagliano netti tra i sassi, come ferite aperte. Per ora posso ancora vederli, per ora posso crederci, ma tra non molto la terra si appianerà, crescerà erba, i sassi si assesteranno, e la loro traccia scomparirà, per sempre.
Non ci vorrà molto, prima che diventino ricordo. Non ci vuole mai molto, purtroppo o per fortuna.

"Mamma, mamma!! Il tam!! Il tam mi ha talutato!!"

martedì 12 giugno 2012

Le Perle di Virginia Woolf - #1

Tutto era immobile nel salotto o nella sala da pranzo o sulle scale. Ma attraverso i cardini arrugginiti e i battenti gonfi e impregnati di salsedine, certi aliti, staccatisi dal corpo del vento (la casa era in fin dei conti in sfacelo) strisciarono attorno agli angoli e si avventurarono all'interno. Li si poteva quasi immaginare entrare nel salotto, interrogativi e perplessi, e giocare coi lembi penzolanti della carta da parati, chiedendosi per quanto ancora sarebbe rimasta appesa, quando sarebbe caduta. Poi sfiorando lievemente le pareti, passavano oltre come per chiedere alle rose rosse e gialle della carta da parati se sarebbero avvizzite, e per interrogare (adagio, perché avevano tempo a disposizione) le lettere strappate nel cestino della carta straccia, i fiori, i libri ora tutti chiusi per loro: erano alleati? o nemici? per quanto tempo ancora sarebbero durati?
Così guidati a caso dalla luce di una qualche stella scoperta, o di una qualche nave vagante, o fors''anche del Faro, che col suo pallido passo risaliva le scale o calpestava la stuoia, gli aliti montavano leggeri le scale e curiosavano dietro le porte delle camere. Ma lì dovevano arrestarsi. Se anche ogni altra cosa perisse e sparisse, ciò che giace lì è immutabile. Qui si poteva dire a quegli aliti brancolanti che spiravano e si curvavano persino sul letto: qui non potete né toccare né distruggere. Al che, stancamente, spettralmente, come avessero dita leggere come piume e la lieve insistenza delle piume, essi avrebbero guardato per una volta quegli occhi chiusi, quelle dita mollemente giunte, e piegati stancamente i loro abiti sarebbero scomparsi. E così, curiosando, strusciando, andarono presso la finestra delle scale, nelle camere della servitù, nei bauli delle soffitte; scendendo, sbiancarono le mele sul tavolo della sala da pranzo, scompigliarono i petali delle rose, misero alla prova il quadro sul cavalletto, sfiorarono la stuoia e con un soffio sparsero un po' di sabbia sul pavimento. Alla fine, desistendo, insieme cessarono, insieme si radunarono, sospirarono tutti insieme e tutti insieme emisero una raffica improvvisa, lamentosa, a cui rispose una porta della cucina; si spalancò; non lasciò entrare nulla; si richiuse di botto.
[A quel punto Carmichael, che leggeva Virgilio, soffiò sulla candela. Era passata mezzanotte.]
(Tratto da "Gita al faro", Virginia Woolf)




domenica 10 giugno 2012

La trapunta (09/06/12)

Di che cosa è fatta un'amicizia? E poi, quale forma ha?
L'amicizia è una trapunta. Ecco cos'è. Una trapunta fatta di tanti piccoli scampoli cuciti insieme, nel tempo. Questa è l'immagine che mi è sbocciata nella mente ieri, mentre cullata dal rumore sotterraneo del metrò, tornavo verso casa dopo una giornata a Milano con un'amica, un'amica speciale.
Non so perché, ma ieri l'ho visto quello scampolo che abbiamo cucito; l'ho visto bene congiungersi agli altri già esistenti, ognuno diverso in forma, contenuto e colore.
Di che cosa sono fatti questi scampoli è difficile dirlo, però.
Perché sapete, difficile è anche vedere la trapunta, per chi non è destinato a coprirvisi, o avvertirne il calore, la consistenza. Per quanto confidi nel potere estremo delle parole di dare vita e vista, descrivere la trapunta di un'amicizia come questa è quasi impossibile.
Ma ci provo: di che cosa era fatto lo scampolo di ieri?
Di penombra e parole. Di persone intorno, volti senza voci importanti, contorni viventi. L'ago entra nella stoffa, fa una capriola e puff, torna su, per poi rituffarsi giù a infilzare il contorno di quella giornata, come un recinto, un recinto che racchiude bacchette di legno e profumo di ravioli alla carne e salsa di soia, gradini, treni e tovaglioli di carta, lo sbuffo caldo del metrò quando apre le porte per farti salire; i rumori promettenti della stazione centrale, il vago suono di sogni infranti che sembra rimbombare attutito ovunque ci si volti, ormai. E poi ancora: libri, fotografie in bianco e nero di epoche lontane, scatole, scatole piccole e grandi, il musetto di un cane che ogni tanto torna a farci compagnia, questo però è fatto di stoffa, si sposa bene con la trapunta.
Puff, l'ago si immerge, si gira, puff, l'ago risorge, il filo che porta con sé sembra essere eterno, e forse lo è, perché questa è una trapunta speciale.
Due dita che indicano un faro, le nostre, sembrano quelle di due bambine meravigliate e al contempo di due donne disilluse ma ancora, chissà perché, speranzose.
D'altra parte l'hai detto tu, che noi siamo come il Pino Mugo, e solo io e te sappiamo davvero perché.
L'ago continua, ancora, a cucire. La stoffa cede facilmente, sotto le sue punture. Il filo è saldo, forte, sembra fabbricato dagli gnomi o dai folletti...loro sono piccoli, ma con la forza ci parlano bene.
Dai dillo, amica mia, che dietro a quel faro anche tu ci hai visto per un attimo il mare.
Un mare osservato, anche da lontano. Un mare cercato e trovato, anche se lontano.


venerdì 1 giugno 2012

Libera recensione - "Cose da salvare in caso di incendio" di Haley Tanner

Che cos'è questo libro?
Questo libro è tante cose. 
Lo capisci subito, quando le prime parole di Vaclav ti parlano dalle righe iniziali della prima pagina, e ti sembra di vederlo, lì, vestito da mago, a fare il suo discorso. 
Ho letto migliaia di commenti su questo libro, alcuni di essi sono riportati anche nel libro stesso...dopo averlo letto, dopo averci riso e pianto sopra, dopo aver conosciuto Vaclav e Lena, voglio dire la mia.
"L'incantevole storia di un amore straordinario", dice una frase sulla copertina del libro. 
E' una storia d'amore, sì, quella che si dipana in queste pagine. Si srotola, corre, non si ferma mai. 
A volte cammina in punta di piedi, però. E quelli, come sempre, sono i momenti più belli. 
Sono i momenti in cui l'amore sfiora l'apice, nella rappresentazione interna delle persone che lo generano. Perché l'amore non nasce mai per caso, l'amore è un'energia che prende vita solo tra due precise interiorità. 
Tra due specifiche interiorità. 
Questo libro è tante cose, ma soprattutto è vita. Vita rappresentata nelle sue forme più semplici, che poi sono le stesse che danno origine ai dolori più grandi e alle gioie più speciali.
Tutte le cose più stupefacenti, alla fin fine sono semplici, anche se sembra un paradosso: "Non potevano sapere che quella giornata avrebbe portato, insieme alle cose belle, anche cose molto brutte. Non sapevano che le cose belle che sarebbero successe avrebbero interagito come elementi chimici con le cose brutte e le avrebbero peggiorate, come pure il contrario." Basta questa frase del libro, a farlo capire. 
Basterebbe solo questa frase, a far capire che la vita è sì una linea continua, che è sì, a senso unico, ma che contiene anche labirinti in cui ci si può perdere, se non fosse per quelle bussole che ci aiutano a ritrovare la strada. 
Ecco, allora, cosa racconta, maggiormente questo libro, e alla fine lo dice il titolo stesso: COSE DA SALVARE IN CASO DI INCENDIO, cose che non si mettono in dubbio, come l'amore più vero, l'amicizia più bella...come il fatto che il nord è, appunto, a nord. 
Le bussole della vita non mentono mai, se siamo in grado di leggerle. Forse in qualche modo questo libro può insegnarci a farlo. Così come ci può insegnare che la verità non sta, spesso, in quello che si dice, ma in quello che si sente e si prova, mentre lo si dice.

Da "Cose da salvare in caso di incendio" di Haley Tanner:

"Se una cosa la senti vicino alle viscere, capisci che dovrai tacerne, perché se la raccontassi e qualcuno ne parlasse male o, peggio, ne ridesse, ci soffriresti molto."

(Vaclav)
"Di solito la gente non sorride per sorridere. Di solito i sorrisi della gente sono una bugia, o un trucco, o una promessa. Invece il sorriso di Vaclav è solo un sorriso, e lui sorride sempre per sorridere."

(Lena)
"Lena non ha la sensazione che oggi sia il suo compleanno perché oggi non ha la sensazione di essere una persona. Non è una sensazione nuova: c'è sempre, anche se affiora e risprofonda come il suo dente del giudizio."