domenica 21 dicembre 2014

Libera recensione - Noi siamo infinito, Stephen Chbosky

"Caro amico, 
 adoro le Twinkies. E il motivo per cui te lo dico è che tutti noi abbiamo bisogno di trovare delle ragioni che giustifichino la nostra voglia di vivere."
Per comprendere questo libro, bisogna essere fatti in un certo modo. Non trovo altro modo per dirlo. E non si tratta di essere migliori o peggiori di altri, più o meno intelligenti o acuti, niente di tutto questo, ma soltato e semplicemente: bisogna essere fatti in un certo modo.
E quel certo modo indubbiamente non è uno dei concetti più facili da spiegare, me ne rendo conto. Con certo modo si può intendere tutto, lo so. Soltanto che in realtà, per comprendere questo libro, comprenderlo sul serio, bisogna che quel certo modo in cui si è fatti sia un modo ben preciso.
In ogni caso non c'è da preoccuparsi. Se si è parte di quel modo lo si capisce subito alle prime righe, e se non dovessimo essere fatti così, questo rimane un bel libro da leggere.
E' un libro da leggere anche o proprio per questo, se vogliamo: scoprire se siamo fatti in un certo modo, oppure no.
Non conviene, forse, chiederselo? Chiedersi come si è fatti, a un certo punto della vita? Crediamo di saperlo ma troppe volte non è la verità.
Io sapevo... lo sapevo già, sì, di essere fatta in quel modo. E questo libro l'ho cercato (e mi è poi arrivato in dono) proprio per questo. L'ho cercato perché c'è bisogno di riconoscersi, ogni tanto, di vedersi riflessi, almeno in parte. C'è bisogno di sfiorare tasti da troppo tempo impolverati e scoprire che suono producono e se sono in grado di produrne ancora. Non sarà troppo doloroso scoprire che suonano, suonano ancora, suonano sempre, e se facevano male allora, potrebbero fare male anche adesso. Non sarà nemmeno troppo doloroso accorgersi che non sono poi nemmeno tanto impolverati, non quanto il tempo vorrebbe, quanto meno. Si tratta delle dita invisibili che ognuno di noi possiede e che rispondono a comandi che la nostra mente crede di non impartire, mentre invece, lo fa.
Ma detto questo, la parola io la lascio totalmente al libro. Alle lettere spedite da Charlie al suo "amico" e che una dopo l'altra svelano e rivelano la sua anima gonfia e pulsante; al suo modo di parlare chiaro e delicato che abitua a una musica lieve, salvo poi non essere preparati quando il suono scende di gravità improvvisa e mille strumenti suonano insieme un unico grido straziante o un tuono cupo e dolente. La parola la lascio a chi è stato in grado di descrivere quel certo modo di essere senza troppa fatica, senza pretese e senza presunzione. La lascio alla vita di quegli adolescenti che siamo stati autorizzati a sbirciare attraverso il varco aperto da questo romanzo. Li vediamo sufficientemente bene da credere di poterli toccare allungando la mano, ma non abbastanza da poter comprendere tutto quello che si portano dentro e che, nonostante il peso, non impedisce loro di correre e camminare.
Non dimentichiamoci di quel peso nello zaino, perché in un modo o nell'altro, tutti ne abbiamo portato in spalla almeno un pochino.
Non dimentichiamoci di cosa significava fumare una sigaretta in macchina anche se ne avevamo appena spenta una e "Non potevi aspettare dieci minuti?" [...] - "Ma la canzone alla radio era troppo bella."
Non dimentichiamoci che, tra le svariate persone che la vita ci mette sulla strada, ve ne sono alcune più preziose e rare e, per questo, terribilmente delicate. Sono quelle che assorbono, sono quelle che sentono e vedono un passo oltre a quello che la gente comune fa, o che comunemente fa la gente (che non è affatto la stessa cosa). Son quelle che ci sembrano strane, e che molte volte non ci preoccupiamo di conoscere meglio prima di scartarle come merce difettosa, senza accorgerti di aver gettato nella spazzatura il più prezioso dei diamanti.
Se ci capita di incontrarle, mettiamo da parte per un po' quello che siamo disposti a rischiare in termini di tempo e misura e ascoltiamole, osserviamole, amiamole... Non potremo fare altro che imparare e scoprire.
Buona lettura, a tutti.


Da questo libro:

"Ho soltanto bisogno di sapere che là fuori c'è qualcuno che ascolta e che capisce, e non cerca di portarsi a letto le persone, anche se potrebbe. Ho bisogno di sapere che esiste gente così."

"Sai, un sacco di ragazzi, a scuola, odiano i propri genitori. Alcuni le hanno prese. Alcuni sono capitati per caso nelle vite sbagliate di chi li ha messi al mondo. Altri sono stati esibiti come trofei e mostrati ai vicini quasi fossero nastri o steklle d'oro. Altri ancora volevano solo ubriacarsi in pace."

"Charlie, ognuno di noi accetta l'amore che pensa di meritare."

"Finita la canzone ho detto una cosa. - Mi sento come... infinito. - E Sam e Patrick mi hanno guardato come se avessi pronunciato la frase più grandiosa che avessero mai sentito. Perché la canzone era stupenda, e l'avevamo ascoltata davvero con attenzione. Erano appena trascorsi cinque minuti della nostra intera esistenza, e noi ci sentivamo giovani in senso buono. In seguito mi sono comprato il disco, e potrei anche riverlarti il titolo della canzone ma, a dire il vero, non è la stessa cosa se non stai andanado alla tua prima, vera festa, e se non ti trovi su un pickup seduto tra due persone stupende, mentre fuori inizia a piovere."

"Hai presente le vecchie fotografie? Le persone ritratte hanno i lineamenti molto marcati, e un aspetto giovanile. E sembrano sempre molto più felici di noi."


"Non so se ti sei mai sentito così. Non so se hai mai desiderato addormentarti, per svegliarti solo mille anni dopo. Non so se hai mai pensato che vorresti non essere al mondo; o non renderti conto di essere vivo. O qualcosa del genere."

"Non c'è niente come fare dei bei respiri profondi, dopo aver riso tanto. E non c'è niente di meglio di un mal di stomaco per le giuste ragioni."

"E guardavamo il pendio davanti a noi. Poi Patrick ha cominciato a correre dietro al tramonto. E Sam l'ha seguito, subito. Io vedevo il loro contorno, controluce. Correvano dietro al sole. Allora mi sono messo a correre anch'io ed è stato tutto perfetto."


Una ferita la lasci..

C'è qualcosa di brutale e crudele nell'infilarsi nella vita di qualcuno. Per quanta cura tu ci possa mettere, per quanto leggeri possano essere i tuoi passi quando lo fai, non devi aspettarti di non aprire nessuna ferita. Un varco lo apri e ci passi in mezzo, una ferita la lasci. Non conta quanto ti muovi con cautela mentre attraversi quei lembi di esistenza, qualche pezzo di carne lo strapperai via comunque; non conta nemmeno quante poche cose tu tocchi, una volta dentro, perché quelle più importanti saranno le prime a finirti tra le mani, ti ci cadranno dentro, senza che tu le vada a carcare. Sarai capace di non farle cadere? Chieditelo, è necessario e vitale che tu te lo chieda, prima di compiere anche un solo altro passo, uno soltanto, nell'esistenza di quella persona. Sarai in grado di rimetterle al proprio posto, quando e se te ne andrai, senza che le tue mani le abbiano modificate oltre una certa misura, nella forma e nel colore? Perché le mani, le mani toccano... Le mani plasmano, anche quando non vogliono, lo fanno. Sono state create per creare, e quando incontrano qualcosa che esiste già, loro lo dimenticano, e non smettono di creare. Creano addosso, creano dentro, creano intorno. Creano, toccano... a volte, rompono. Sarai capace, una volta dentro, di amare tutto quello che vedrai? Perché se ci sei, se sei dentro, lo devi fare. Un varco lo apri e ci passi in mezzo, una ferita la lasci e devi, devi per forza di cose, versare amore.
Ne hai con te a sufficienza? Le tue mani creano o distruggono? Sei abbastanza forte da proteggere quelle cose importanti? Riuscirai a non farla sanguinare, quella ferita?
Riuscirai ad abitare lì? Riuscirai a non andartene rubando qualcosa per sempre?
Riuscirai a non essere più brutale e crudele del necessario?