Tutto questo ha un po’ a
che fare con un fiocco rosso. Uno di quelli vellutati ed elastici che si
usavano quando ero piccola, e che io avevo, ma era finito, durante uno dei
movimentati giochi tra me e mio fratello, dietro un mobile della sala.
“Noooo….” La mia
profonda delusione quando l’ho visto sparire dietro il mastodontico mobile (è
uno di quelli vecchi vecchi, di legno pesante e spesso, difficilissimo da
spostare).
Credo di averci anche
pianto, per quel fiocco andato perduto.
L’ho dato per perso,
sì, come se qualcosa di invincibile l’avesse inghiottito. Forse perché,
qualcosa di invincibile, in quegli anni, lo stavamo combattendo davvero: mio
padre aveva il cancro. Lo avevamo scoperto da non molto, quando il fiocco sparì
dietro il mobile. Questo lo so, come so tante altre cose di quei giorni
lontani.
In un altro anno, in un
altro tempo, mio padre avrebbe spostato il mobile, con un po’ di fatica, ma ce
l’avrebbe fatta e avrebbe recuperato il mio amato fiocco rosso.
Questo sarebbe potuto
accadere in un tempo, allora non troppo lontano, in cui lui non era spezzato
dalla malattia, né dalle cure debilitanti e distruttive. Ma il giorno che il
fiocco rosso venne inghiottito dal mio mobile per andarsene a riposare in un
angolo buio, non solo mio padre era debole e malmesso…lo eravamo tutti, forse
senza nemmeno saperlo, o quanto meno senza sapere quanto malmessi.
Era perduto, punto.
Perduto il fiocco. Perdute un sacco di altre cose belle e semplici.
A nessuno venne in
mente di spostare il mobile. C’erano troppe cose di cui occuparsi, e molte
altre da ignorare, il fiocco dietro al mobile era, giustamente e ovviamente,
una di quelle.
Io, lo avevo
dimenticato.
Poi un giorno torno a
casa, non molto tempo fa e… BAM! un
fulmine mi colpisce proprio in mezzo al cuore.
Il fiocco rosso è lì,
sul tavolo, la polvere non è riuscita a smorzare il suo velluto splendente. Il
suo colore vermiglio occhieggia da sotto il grigio che cerca di cancellarlo.
Io rimango immobile. E
forse mia madre non se ne accorge, lei, che mi sta indicando il fiocco dicendo
“Hai visto? Oggi tuo fratello è venuto qui, ha spostato il mobile per cambiare
il cavo della televisione e lo abbiamo trovato.”
Quanti anni avevo,
l’ultima volta che lo avevo toccato? Tredici? Quattordici? Qualche età sospesa
tra quelle, comunque.
Prendo in mano il
fiocco, e succede.
Succede che qualcosa,
inspiegabilmente, si libera. Qualcosa
che era rimasto imprigionato insieme a lui, per tutti questi anni, che sono più
di metà della mia vita, e che sono scivolati via senza nemmeno riuscire a
guardarli bene in faccia. E’ qualcosa che è fatto di aria e respiro, di odori e
profumi nascosti dal tempo, di sensazioni e tocchi, di capelli, i miei, di una
ragazzina a cui stava morendo il padre sotto agli occhi. A cui stava morendo
anche parte della sua vita, ma questo ancora non lo sapeva del tutto, non lo
sapeva davvero, grazie a Dio.
Qualcosa che è fatto
anche, purtroppo, di tutto il dolore e la paura di quel tempo. Di quell’anno,
di quell’esattissimo giorno e momento in cui Puff era caduto al di là del mobile.
Non lo dico, a mia
madre, quello che sto provando. E’ qualcosa di così tremendamente mio che ho
paura che se tentassi di spiegarlo uscirebbe solo qualche stupida frase
sconnessa.
Quindi mi limito a
rimetterlo sul tavolo, un po’ guardinga, e a dire: “Cavolo…pensa, non me lo
ricordavo neanche più.”
Fortuna che i nostri
continenti interni, quando si smuovono e creano terremoti, fanno rumori che al
di fuori non si sentono, altrimenti mia madre avrebbe creduto che stessi per
morire.
I giorni successivi,
quel fiocco è stato lavato, ed è riapparso nel suo splendore, come solo il
velluto rosso sa fare.
L’ho guardato per un
po’, da lontano. Ci giravo attorno. Poi è finito in un cassetto, quello del
bagno, dove ci sono le spazzole, i pettini, e gli altri elastici meno
appariscenti e più adulti.
Ma continuavo a
inciamparci. Tiravo su la spazzola e veniva su anche lui, impigliandosi. Aprivo
il cassetto e balzava fuori come una molla.
Era lì, inutile
negarlo.
E allora mi ci sono
fatta la coda un giorno, e mi sono guardata allo specchio.
Mi sono guardata allo
specchio.
E lei, era ancora lì.
La me di allora, era ancora lì. E io che credevo bastasse nasconderla dietro a
un mobile, per non trovarla più…per riuscire a cancellarla.
Nemmeno gli anni,
nemmeno i dolori, nemmeno tutto quello che è passato o che non lo è, l’hanno
cancellata.
Lei, è ancora lì. E
quel fiocco rosso appartiene a lei.
Quel fiocco rosso che
ha aspettato per anni al buio, lottando con la polvere, ascoltando da lontano tutto
quello che succedeva, chi se ne andava e chi arrivava, in fondo ha fatto quello
che ho fatto io. Ha fatto quello che fanno milioni di persone.
Lo so, alle persone non
basta una lavata per tornare a splendere. Alle persone serve amore, tanto
amore. Alle persone serve comprensione, serve tempo e cura, serve speranza,
serve credere e servono mille altre cose…ma forse, scrollarsi via la polvere
dall’anima si può.
Ecco perché, tutto
questo, ha un po’ a che fare con quel fiocco.
Mi sono permessa,
un’altra volta, di sperare che qualcosa, qualunque cosa, possa cambiare. Che
una nuova strada possa portare a qualcosa di nuovo e più bello (che si tratti di guardare dietro a una porta, o dietro a un mobile per scoprirla, poco importa), che le favole,
in fondo, a volte si mischiano con la realtà, che crederlo non è nemmeno troppo
da bambini o da folli…e se è da folli, è da folli buoni.
Tutto merito di quel
fiocco rosso. E di quella ragazzina che ero, anche un po’ suo, perché se lei
non avesse tenuto duro, io oggi non sarei qui, io oggi non sarei così.
Così come?
Resistente…e
impossibile da cancellare.
Come il velluto rosso.