Io mi fidavo di J.K. Rowling.
Mi fidavo ciecamente quando ho preso il suo libro dallo scaffale della libreria e, dando solo un'occhiata fugace alla trama, mi sono diretta rapidamente, senza alcun ripensamento, alla cassa a pagare.
Non avevo sentito critiche particolarmente entusiaste, e, come d'abitudine, non ci avevo fatto caso. Non voglio mancare di rispetto verso i critici, dico davvero, solo che, semplicemente, a volte non ci azzeccano. A volte non leggono come dovrebbero leggere, guardano le parole e non le assaporano, dimenticano di essere, prima di ogni cosa, lettori.
Ma lasciamo il passo al Seggio Vacante, e alla mia fiducia nella Rowling, la madre di uno dei più grandi capolavori letterari di sempre (Harry Potter), del quale ancora rimpiango le pagine intrise di magia e familiarità che ormai erano entrate a fare parte della mia vita, come della vita di ognuno dei lettori delle sue vicende. Non poteva deludermi, ne ero profondamente sicura. Certo, gli scrittori a volte lo fanno, è normale, quasi fisiologico, non sempre mantengono le promesse fatte tra le righe dei loro precedenti romanzi, quelle che ci hanno fatto sognare, piangere o imprecare infuriati per quello che stava succedendo senza che noi potessimo intervenire.
Ma della Rowling, come ho detto, mi fidavo. Sapevo che avrebbe mantenuto la parola, nonostante fosse una prova tutt'altro che semplice: uscire dall'incanto di Harry Potter, dal mondo magico e pregno di gustose invenzioni fantasiose (invenzioni che ci hanno nutrito il cuore come golosi dolcetti ricoperti di panna e cioccolato e scaldato l'anima come grandi camini scoppiettanti in sale colme di poltrone nelle quali affondare mentre fuori nevica) per mettersi a discorrere di "banale" realtà.
Mi fidavo, ciecamente, e lei infatti non mi ha deluso.
Il Seggio Vacante è un capolavoro di rara sincerità. Perché è, a mio avviso, prima di tutto questo: un libro estremamente sincero.
Dal momento in cui ho iniziato a leggerlo ho desiderato di poterne parlare, e questo capita solo con i libri migliori che si possa avere l'onore di leggere. Il desiderio di sottolineare frasi e collegamenti di rara maestria, la testa che annuisce e gli occhi che si spostano di lato come si fa quando qualcosa ci sovviene alla mente: non è forse vero che quel personaggio ci ricorda profondamente qualcuno?
Bé, lei in questo è sempre riuscita. Farci sentire parte del mondo che racconta è la sua prerogativa migliore.
Qui, però, fa ancora di più.
Qui parla del mondo che noi effettivamente abitiamo, parla di persone che tutti abbiamo incontrato, anche se con nomi o volti diversi, e lo fa dopo averli guardati da ogni angolazione possibile e immaginabile. Così una madre diventa anche figlia; la figura professionale diventa privata, spiata nei suoi pensieri più nascosti e onesti (onesti ma bui; perché può essere, la maggior parte delle volte, che lo siano), i forti vengono smascherati e filtrati attraverso le loro debolezze, i deboli, quelli che non riescono ad avere voce, parlano più chiaramente di quanto ci potremmo aspettare. Tutto è collegato, in questo libro, tutto è legame, un intricato ma evidentissimo legame di prospettive tridimensionali. Un legame che forma, volenti o nolenti, una comunità di persone. E' attraverso questo legame che ogni cosa viene sviscerata, il male e il bene, l'ipocrisia e la sincerità, l'onestà degli intenti e l'opportunismo, la verità e la menzogna, la lealtà e il tradimento, il decoro (finto) e il degrado (vero) e, in tutto questo continuo divenire, l'inevitabile cambiamento che si abbatte su un sistema, qualunque esso sia, quando gli equilibri vengono scossi o rimescolati.
Molte cose mi hanno colpito di questo libro, ma una più di tutte dovrebbe far riflettere chi vi si avvicina: i figli. I figli di questa società, i figli nostri o degli altri, cosa stanno capendo? Cosa si porteranno dietro negli anni? Con quali occhi ci guardano? Con quali parole o gesti cercando, disperatamente, di parlarci?
Lo so, sono tutte domande, queste.
Ma non è forse vero che sono i libri migliori, a generarle?
Alle risposte, ovvio, dovremo sempre pensarci noi.
Qualora lo vogliate, buona lettura!
Da questo libro:
"[...] che tortura, quei piccoli fantasmi lasciati dai figli man mano che diventavano grandi; i figli non avrebbero mai saputo, e non avrebbero tollerato di saperlo, quanto si soffriva a vederli crescere."
"- Ma chi può tollerare di sapere quali stelle sono già morte? - pensò, guardando il cielo notturno; - C'è qualcuno al mondo che possa sopportare di sapere che lo sono tutte? -"
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