Sì, esistono ancora degli istanti in cui torno lì. E sono istanti che hanno un colore e un sapore preciso, perfetto. Basta che io socchiuda gli occhi e lasci scivolare la memoria… basta poco, per sentire il vento lieve sfiorarmi le guance mentre mi lascio dondolare sulla mia altalena. Era un’altalena fatta di corde bianche legate a un’asse di legno chiaro appesa a un grande ramo dell’albicocco preferito del mio giardino. Ed io ci ero seduta sopra, con strette nei pugni le sue corde, e in tasca la mia piccola manciata di anni di vita. Lasciavo che il pomeriggio d’estate si fermasse per qualche minuto, solo per me. Davanti a me avevo un cespuglio di rose bianche, se dondolavo al massimo della velocità le punte dei miei piedi arrivavano a sfiorarlo, ma raramente guardavo innanzi a me. Molto più spesso guardavo in su, cercavo di sbirciare il cielo attraverso l’intrico dei rami dell’albicocco e, me lo ricordo bene, molte volte lo ringraziavo. Era lui a tenermi appesa, nella mia fantasia di bambina lui era saggio e amorevole e sorrideva della mia allegria come potrebbe fare un nonno osservando la sua nipotina. Erano momenti, quelli, che deliberatamente rubavo all’universo credendo che me li avrebbe restituiti, in qualche modo. Perché sentivo che era un mio inalienabile diritto salire sulla mia altalena e vincere il tempo come fosse un giocattolo messo a mia totale disposizione.
Esistono ancora, e mi stupisce, istanti in cui io… sono lì. A volare nel vento, a guardare in alto scoprendo infiniti stralci di cielo, il sole filtrato dalle foglie a respirarmi tiepido sul viso, le mille carezze di quello che avevo. Davanti a me rose bianche sbocciate, spine lontane, innocue. L’erba ondeggiante, la siepe e il sentiero… Carezze di sguardi, carezze di odori, carezze di mani invisibili che sono i ricordi. È bello sentire le mie mani ridiventare piccole e un po’ più paffute e stringere ancora le corde di quell’altalena sospesa nel tempo. Bello… la maglietta e i pantaloncini, le scarpe da tennis consumate dalle corse e dalle mille arrampicate sugli alberi, le ginocchia sbucciate, la scritta sul muro; la vedo ma non riesco a leggere cosa c’è scritto. Argo che abbaia, svogliato, ha caldo, è assonnato. Sotto il biancospino dorme Pantera, è arrivato da poco, dorme in silenzio come un’ombra nel buio. Dalle finestre aperte cade giù qualche parola, le voci di mio padre e mia madre che parlano di qualcosa, poi si spostano in casa, non li sento più. Mio fratello è via con gli amici, mio cugino forse sta riposando, tra poco scenderà in giardino e potremo giocare… ma per adesso io sono qui, a dondolare senza pensare. Canticchio qualcosa, non so cosa, canticchio sempre qualcosa, quando sono sulla mia altalena… sento un rumore, qualcuno che fischia, alzo lo sguardo. Mio padre mi guarda dalla finestra della sua camera, mi fa l’occhiolino, poi volge anche lui il viso al cielo e chiude gli occhi accecato dal sole.
Sorrido, lui c’è, lui è vivo ed lì alla finestra…
Dondola, Marina, dondola… è ancora tutto perfetto.
Dondola, Marina, dondola, forse il tempo si è fermato davvero…
Dondola, dondola… ti prego, fallo per me.
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