"Questo, mi ha insegnato il ventre del mare. Che chi ha visto la verità rimarrà per sempre inconsolabile. E davvero salvato è solo colui che non è mai stato in pericolo.
[...] E per sempre, noi che abbiamo conosciuto le cose vere, per sempre, noi figli dell'orrore, per sempre, noi reduci del ventre del mare, per sempre, noi saggi e sapienti, per sempre - saremo inconsolabili.
Inconsolabili.
Inconsolabili."
Oceano mare, Baricco.
giovedì 3 novembre 2016
martedì 1 novembre 2016
Terremotati rifiutati dai centri accoglienza se in possesso di cani - L'intervento di Enpa per sensibilizzare all'accoglienza e promuovere soluzioni (il mio articolo su Blasting News)
Poche, in questo scenario instabile e complesso, sono le cose in grado di portare vero conforto alle persone che stanno vivendo letteralmente in mezzo a uno sciame sismico di rara ferocia che sta ripetutamente colpendo il centro Italia. Poche ma essenziali, queste stesse cose, andrebbero protette con ogni forma di rispetto. Ma è notizia di queste ore, invece, che un nuovo ostacolo si è presentato a rendere ancora più difficile la vita degli sfollati:...continua a leggere su Blasting News
mercoledì 19 ottobre 2016
Grande Fratello Vip: il primo finalista è Alessia Macari - il mio articolo su Blasting News
La tensione della puntata era stata mantenuta alta dallo scontro mai del tutto sedato tra "Le Mosetti" e Giulia De Lellis, fidanzata del concorrente Andrea Damante, e dalla successivaeliminazione di Asia Nuccetelli con una nettissima maggioranza di voti favorevoli alla sua uscita. La ragazza, poco prima di abbandonare la casa... continua a leggere su Blasting News
lunedì 19 settembre 2016
Magdalene - Horror
Forse sono stata io a sbagliare perché, un attimo prima di accendere la luce, io l’ho salutata.
Solo due parole, solo due innocentissime parole: “Ciao, Magdalene…”.
Il tono di voce era troppo alto, parlo sempre così nel buio perché ho paura, e forse ho spaventato anche lei perché, lo giuro, il suo viso si è spostato di scatto verso di me. Non tanto, no… solo leggermente, solo quel tanto che bastava per fissarmi dritta negli occhi.
Io lo so che l’ha fatto. Anche se quando ho acceso la luce era ferma.
Io so che aveva torto il collo in alto, verso di me.
Io lo so che aveva sollevato la testa e che sorrideva.
Un sorriso diverso da quello stampigliato sulla sua solita faccia di gomma.
Sembrava più ampio, più largo.
Ma non è stato lì che ha cercato di parlarmi, no, è stato dopo. Dopo cena, dopo il film e lo spuntino della sera.
È stato quando ho spento la luce e sono andata a letto.
L’ho già detto, no?
Sì, l’ho già detto.
È col buio che si muove.
Solo col buio.
(Tratto da Magdalene, Marina Lizzi - genere Horror)
Acquista
Siete nati e quello doveva bastare. Il mondo vi chiede di rinascere: e voi rinascerete.
Camminerete in scarpe non vostre, su sentieri che non avrete scelto voi e vi sentirete perduti, nonostante la strada maestra sia lì di fronte a voi, chiara e dritta, a mostrarsi per quello che è: una via da seguire. Soltanto una delle tante vie da seguire, ma questo lo capirete dopo.
Lo capirete quando il vostro spirito, quello che avrete ricacciato giù in gola ogni volta che provava ad uscire, sarà abbastanza grande e forte da strapparvi dalle mani di chi aveva l'assurda pretesa di volervi guidare. Lo capirete quando ballerete per la prima volta al ritmo di qualcosa che sentirete vostro, indelebilmente vostro e, questo, vi farà sbarrare gli occhi sulla vita e guardarla pieni di meraviglia. Un po' come la prima volta che da bimbi si vede il mare, o come la prima corsa contro vento: il fiato sembra mancare e, d'improvviso, viene da ridere... ridere forte, mentre vento e respiro si fondono e sentite la vita esplodere e dirvi, per un lungo e bellissimo attimo che tutto è davvero nelle vostre mani, e che molto è possibile, MOLTO dipende da voi.
Capirete, e se sarete fortunati non lo capirete troppo tardi, che vivere la vita a modo vostro non significa tradire nessuna promessa mai fatta. Capirete, vi auguro il prima possibile, che vivere la vita a modo vostro è L'UNICA PROMESSA che dovete mantenere. E da quel momento in poi, tutto, avrà senso.
Avranno senso le scelte, la libertà e il coraggio con cui le farete.
Avranno senso gli sbagli, perché sbagliare fa parte del gioco, che voi lo vogliate o no. Sbagliare vale tanto quanto riuscire e vi auguro di avere la fortuna di trovare le parole giuste per spiegarlo a chi vi voleva perfetti ma vuoti; sorridenti ma tristi, a chi voleva che il vostro passo fosse regolare, ma deboli e curve le vostre spalle.
Le spalle dritte le ha chi combatte. Le spalle dritte le ha chi decide.
Avranno senso le lacrime, avrà senso il dolore.
Avrà senso, soprattutto, la gioia. Quella che vi troverete tra le mani quando davanti a voi avrete la VOSTRA strada, quando troverete quello in cui credere col sangue e con l'anima, e non solo con le nozioni imparate a memoria che con tante parole non dicevano niente.
Avrà senso la vita. La strada imperfetta che lentamente costruirete abbattendo ostacoli e tracciando sentieri nella foresta. Avranno senso le svolte, le cadute, avranno senso le grotte in cui per mesi vi nasconderete.
E sarà lì, lì in mezzo al bosco, che voi rinascerete. Perché questo mondo vi chiede di farlo di nuovo: nascere. Vi chiede di farlo per riscattare quello che doveva essere vostro sin dall'inizio e che in troppi hanno provato a contaminare: la libertà.
Rinascerete.
Badate di non fare del male per divertimento o superficialità, ma sarà inevitabile ferire qualcuno e rimanerne feriti.
Cercate di dire sempre e solo la verità, ma sarà inevitabile mentire, a volte.
Amate. Amate davvero e mai per finta. Non dite di amare se non lo pensate.
Mantenete tutte le promesse che fate, anche quelle a voi stessi, ma state attenti a non promettere più di quanto sapete, più di quanto potete.
Fate in modo di non tradire mai la fiducia di chi vi guarda come esempio, ma rinunciate all'idea di essere perfetti.
Non insegnate, se potete, che essere buoni e giusti significa non sbagliare mai. I buoni e i giusti sbagliano. I buoni e i giusti sono esseri umani.
Scegliete.
Scegliete.
Scegliete.
Scegliete, sempre, da che parte stare, dove andare, cosa cercare, il vostro passo da tenere, il Dio a cui rivolgervi quando pregate, i compagni di viaggio del vostro cammino.
Scegliete... e poi andate...
Andate senza paura, andate senza timore di aver deluso chi vi voleva diversi. Siete venuti al mondo per vivere, non per ubbidire.
Siete nati e quello doveva bastare.
Il mondo vi chiede di rinascere: e voi rinascerete.
domenica 18 settembre 2016
Travolta dalla marea mediatica: la vita di Tiziana è finita prima del suo suicidio - La discesa verso lo scantinato in cui ha messo fine alla sua vita è durata più di un anno, e non è fatta soltanto di gradini (il mio articolo su Blasting News)
In mezzo a tutto questo susseguirsi di notizie, fra le righe di questo e
magari mille altri articoli dedicati a lei, forse si dovrebbe
intravedere qualcosa, qualcosa che ci dice che Tiziana non è morta lì,
in quello scantinato nel quale ha deciso di smettere di respirare per
sempre. [...] Tiziana è morta prima di quel foulard azzurro nello scantinato. Quello, è stato solo il suo ultimo respiro ...clicca qui e continua a leggere su Blasting News
giovedì 15 settembre 2016
Piacenza: operaio muore durante manifestazione sindacale travolto da un camion - 'Ammazzateci tutti', le parole scioccanti dei lavoratori dopo l'accaduto. (il mio articolo su Blasting News)
"Ammazzateci tutti": le scioccanti parole dei lavoratori
Scioccanti e potenti, le parole del comunicato rilasciato dai lavoratori in seguito all'accaduto: "Ammazzateci tutti", e basterebbe questo a tradurre il clima di tensione delle ultime ore, ma la nota prosegue: "è il grido dei lavoratori della logistica di Piacenza. [...] " Un grido che arriva, forte e chiaro, alle orecchie di tutti. E che, indipendentemente dalle dinamiche e dagli approfondimenti che verranno eseguiti, esige di essere ascoltato.... (continua a leggere su Blasting News: http://it.blastingnews.com/cronaca/2016/09/piacenza-operaio-muore-durante-manifestazione-sindacale-travolto-da-un-camion-001121291.html )giovedì 8 settembre 2016
Nessuno è al sicuro dalla vita, finché la vive
In questo anno ho imparato molte cose, ma una su tutte ho capito che
quello che SEMBRA è sempre o quasi lontanissimo da quello che E'.
In quest'anno ho imparato a giudicare ancora meno di quanto giudicassi prima, senza conoscere a fondo le cose e le persone.
Non si tratta di crescita vera e propria, quanto più di una presa di coscienza più potente, rispetto a prima: mi credevo intera, completa, e invece ero ingenua sotto molti aspetti.
Serve, trovarsi di fronte a scelte difficili, per poter capire la vita fino in fondo o quasi. Serve, riuscire ad adare oltre i bei quadri e grattare via la vernice di facciata per scoprire la realtà che sta sotto... Serve, auguro a tutti di poterlo capire.
Lo auguro perché è l'unico modo per mettersi in salvo dall'inutile perbenismo estremo o per sentito dire. Serve a smettere di sentirsi al sicuro, perché nessuno lo è del tutto, dalla vita, finché la vive.
Ho imparato che la maggior parte delle persone dovrebbe tacere, e che gli agnelli sacrificali sono stati quasi sempre belve feroci, in passato, ma di una ferocia subdola e sotterranea, che nessuno ha visto tranne chi ne è stato ferito indelebilmente; ho imparato che tutti dicono la loro quando è meno richiesta; che tutti fanno sempre la cosa più giusta, se non sono nei panni degli altri... un po' come gridare a una persona trascinata via da un'alluvione come nuotare per mettersi in salvo, mentre si è al sicuro sulla sponda del fiume. Ho imparato, e non ne avevo bisogno perché già lo sapevo, che ho degli amici forti. Forti in ogni senso del termine. Abbastanza forti da non farmi mai sentire male, mai, nemmeno quando avrebbero potuto farlo. Amici in grado di capire tutto, anche le mille sfumature che i coglioni invece dividerebbero senza remore in Bianco o Nero.
Ho imparato e imparerò ancora, che anch'io parlavo e ho parlato spesso con troppa faciloneria, e che troppe volte sono stata sicura di cose che poi si sono sgretolate.
A cosa serve, questo? Ma a vivere, ovviamente. A vivere PER DAVVERO, come direbbe mio nipote come rafforzativo, e non sulla scia di qualcosa che somiglia troppo a una coppia di binari predisposti.
La vita va vissuta fuori, solo così è giusto. Fuori dai binari, fuori dagli schemi imposti, fuori dal coro se il coro non ci piace, che poi è l'unico modo per esserci davvero DENTRO quando invece ci piace sul serio; fuori dal vizio di forma, fuori dalle regole in cui non credi ma che ti hanno detto che erano giuste e allora va bene così... Fuori, fuori, per strada.
Per strada ci si sporca, per strada si stringono patti, per strada si sopravvive davvero. E per strada ci sono mille motivi per tacere, prima di parlare.
In quest'anno ho imparato a giudicare ancora meno di quanto giudicassi prima, senza conoscere a fondo le cose e le persone.
Non si tratta di crescita vera e propria, quanto più di una presa di coscienza più potente, rispetto a prima: mi credevo intera, completa, e invece ero ingenua sotto molti aspetti.
Serve, trovarsi di fronte a scelte difficili, per poter capire la vita fino in fondo o quasi. Serve, riuscire ad adare oltre i bei quadri e grattare via la vernice di facciata per scoprire la realtà che sta sotto... Serve, auguro a tutti di poterlo capire.
Lo auguro perché è l'unico modo per mettersi in salvo dall'inutile perbenismo estremo o per sentito dire. Serve a smettere di sentirsi al sicuro, perché nessuno lo è del tutto, dalla vita, finché la vive.
Ho imparato che la maggior parte delle persone dovrebbe tacere, e che gli agnelli sacrificali sono stati quasi sempre belve feroci, in passato, ma di una ferocia subdola e sotterranea, che nessuno ha visto tranne chi ne è stato ferito indelebilmente; ho imparato che tutti dicono la loro quando è meno richiesta; che tutti fanno sempre la cosa più giusta, se non sono nei panni degli altri... un po' come gridare a una persona trascinata via da un'alluvione come nuotare per mettersi in salvo, mentre si è al sicuro sulla sponda del fiume. Ho imparato, e non ne avevo bisogno perché già lo sapevo, che ho degli amici forti. Forti in ogni senso del termine. Abbastanza forti da non farmi mai sentire male, mai, nemmeno quando avrebbero potuto farlo. Amici in grado di capire tutto, anche le mille sfumature che i coglioni invece dividerebbero senza remore in Bianco o Nero.
Ho imparato e imparerò ancora, che anch'io parlavo e ho parlato spesso con troppa faciloneria, e che troppe volte sono stata sicura di cose che poi si sono sgretolate.
A cosa serve, questo? Ma a vivere, ovviamente. A vivere PER DAVVERO, come direbbe mio nipote come rafforzativo, e non sulla scia di qualcosa che somiglia troppo a una coppia di binari predisposti.
La vita va vissuta fuori, solo così è giusto. Fuori dai binari, fuori dagli schemi imposti, fuori dal coro se il coro non ci piace, che poi è l'unico modo per esserci davvero DENTRO quando invece ci piace sul serio; fuori dal vizio di forma, fuori dalle regole in cui non credi ma che ti hanno detto che erano giuste e allora va bene così... Fuori, fuori, per strada.
Per strada ci si sporca, per strada si stringono patti, per strada si sopravvive davvero. E per strada ci sono mille motivi per tacere, prima di parlare.
martedì 6 settembre 2016
La vita è dopo i puntini di sospensione...
...non lasciate che i puntini di sospensione vengano seguiti dal vuoto,
dite anche quello che viene dopo, perché le cose che dovrebbero venire
dopo i puntini di sospensione sono
sempre le più importanti. Sono quelle che ci spezzano il fiato e per
paura non diciamo, o per il cervello, il maledetto cervello che si mette
in mezzo a fotterci le cose con la sua mente. Ma no, quando arrivano i
puntini di sospesnsione fate un bel respiro e girate la manopola della
testa su off, e poi parlate. Come una cascata, come una porta che si
spalanca per la corrente...via, via, lasciate che esca il cuore. La vita
è fatta per questo, ne sono sicura. La vita è fatta per quello che
viene dopo i puntini di sospensione. E allora trovatevi una persona che
sia lì, dopo quei puntini...qualcuno che si incastri perfettamente con
voi quando vi abbracciate, o quando appoggiate la testa sulla sua spalla
ed è subito giusto così, è giusto il posto senza che cambiate
posizione; il posto è giusto per le vostre labbra quando si baciano, è
giusto il posto delle vostre mani quando si tengono, si cercano, senza
che il cervello dica loro di farlo. Senza le parole dopo i puntini di
sospensione, non troveremo mai questa persona. Senza le parole dopo i
puntini di sospensione, senza quel coraggio del salto nel vuoto, non
atterreremo mai nella vita. Tutto quello che viene prima non ha senso se
dopo il fiato sospeso non segue il respiro. Se dopo il silenzio non
esce il cuore, tutto quello che abbiamo taciuto non ha senso.
Così, tanto per dire...
Tanto per dire.
Così, tanto per dire...
Tanto per dire.
lunedì 5 settembre 2016
Le Perle di Alessandro Baricco #1
- "Madame Deverià... Io come farò a riconoscerla, quella donna, la MIA, quando la incontrerò?"
[...]
- "Chiudete gli occhi, Bartleboom, e datemi le vostre mani."
Bartleboom ubbidisce. E subito sente sotto le sue mani il volto di quella donna, e le labbra che giocano con le sue dita, e poi il collo sottile e la camicia che si apre, le mani di lei che guidano le sue lungo quella pelle calda e morbidissima e se le stringono addosso, a sentire i segreti di quel corpo sconosciuto, a stringere quel calore, per poi risalire sulle spalle, tra i capelli e di nuovo tra le labbra, dove le dita scivolano avanti e indietro fino a quando non arriva una voce a fermarle e a scrivere nel silenzio: - "Guardatemi, Bartleboom."
La camicia le è scesa sul grembo. Gli occhi le sorridono senza nessun imbarazzo.
- "Un giorno vedrete una donna e sentirete tutto questo senza nemmeno toccarla."
Oceano Mare, Alessandro Baricco
[...]
- "Chiudete gli occhi, Bartleboom, e datemi le vostre mani."
Bartleboom ubbidisce. E subito sente sotto le sue mani il volto di quella donna, e le labbra che giocano con le sue dita, e poi il collo sottile e la camicia che si apre, le mani di lei che guidano le sue lungo quella pelle calda e morbidissima e se le stringono addosso, a sentire i segreti di quel corpo sconosciuto, a stringere quel calore, per poi risalire sulle spalle, tra i capelli e di nuovo tra le labbra, dove le dita scivolano avanti e indietro fino a quando non arriva una voce a fermarle e a scrivere nel silenzio: - "Guardatemi, Bartleboom."
La camicia le è scesa sul grembo. Gli occhi le sorridono senza nessun imbarazzo.
- "Un giorno vedrete una donna e sentirete tutto questo senza nemmeno toccarla."
Oceano Mare, Alessandro Baricco
domenica 28 agosto 2016
Terremoto nel centro Italia: abitiamo in un Paese che trema - La nostra bella, fragile e al contempo fortissima Italia trema, ma resiste: la speranza non muore. (il mio articolo su Blasting News)
Crollano le persone. Si fermano, a volte per sempre, i loro respiri...E tutto si arresta in un immenso fiato sospeso che tace, tace ma grida,
in quelle immagini ogni volta profondamente diverse ma terribilmente
simili di orologi congelati per sempre in quel secondo di assoluto
dolore....(continua a leggere su Blasting News)
giovedì 18 agosto 2016
Libera Recensione - L'altro capo del filo, Andrea Camilleri
![]() |
L'altro capo del filo, Andrea Camilleri |
Ma torniamo a noi, ovvero alla recensione del libro l'altro capo del filo... Che libro è? E', a mio avviso, un libro di difficile definizione. No, non in senso negativo, tutt'altro: le vicende si srotolano senza fermarsi mai, senza un attimo di sosta o riposo, dall'inizio alla fine. Non si assiste a un racconto, ma al vero e proprio prendere forma di persone e storie che si intrecciano fra loro sullo sfondo di una Sicilia dolorosamente partecipe dell'immenso dramma umano che è la migrazione.
Il "caso" che impegnerà il Commissario Montalbano, l'uccisione violenta e crudele di una donna bellissima e affascinante (una sarta, che circondata da meravigliose stoffe e tessuti riercati sembra confezionare, insieme agli abiti di stupenda fattura, anche la sua stessa aura di fascino screziato da qualcosa di oscuro che la segue, nascondendosi tra le pieghe della sua vita) si inserisce con violenza nella vita già tesa all'inverosimile del commissariato e spinge alla ricerca di significati e indizi apparentemente inesistenti la mente provata ma brillante del Commissario. Quello che si trova all'altro capo del filo è un luogo, è una persona, è un mondo, è la risposta a mille domande, è una direzione e una voce.
E' la fine della ricerca e al contempo l'inizio della vicenda che forma quel gomitolo di vita nel quale il Commissario e i suoi uomini si trovano impigliati durante la risoluzione del caso.
Leggerlo significa partecipare alle domande, alla frustrazione della stanchezza, allo scandalo della violenza che irrompe nei giorni qualsiasi, alla lotta per trovare la strada giusta. Leggerlo significa cercare ciò che si trova, sempre, all'altro capo del filo.
mercoledì 17 agosto 2016
Ricomincia da qui: tu, sei così.
È già successo altre volte, vero? L'aria che si sposta un soffio più in là
senza un'apparente ragione valida e lascia dietro di sé qualcosa di sospeso
che, in un attimo, ti corre addosso.
Ha forme e nomi diversi, ogni volta, ma parla una lingua che non ti lascia il tempo di pensare.
Sei lì e ascolti, perché ti piomba contro con una violenza tale da farti dimenticare dove ti trovi e dove sei stato negli ultimi scampoli di vita. E quello che senti ti gonfia il petto e ti soffia dentro ossigeno strano; ti scuote le spalle e ti grida in faccia la realtà che una forza sbagliata cercava di negare.
È già successo altre volte, vero? Ti sei dimenticato chi sei. E tutti i passi che mettevi davanti andavano a sbattere contro muri che non vedevi e ancora non vedi. Inciampavi nel sottobosco buio di quell'ombra sotto cui ti muovevi furtivo pensando di non poter appartenere alla luce del mondo che ti escludeva. E obiettivi mangiati dal tempo, traguardi bruciati dal sole nel deserto del niente.
È già successo altre volte, e dovevi saperlo. Dovevi sapere che funziona così, che questi sono i trucchi di quel mago marcio che è il destino avverso, quello che non esiste se tu non glielo permetti; quello che è costretto a vivere a metà se tu gli strappi di mano il cilindro e lo butti nel fuoco di quello in cui credi. Ti sorride benevolo ma mentre lo fa, sputa un odore dolciastro e stantio; ti tende la mano e ti porta a sederti su poltrone ripiene di vermi che, se non stai attento, prima o poi divoreranno tutto quello che hai, a cominciare dalla tua carne. Ti osserva da lontano ma ti fa credere di essere vicino perché senti il suo fiato sul collo dal sole che sorge al mattino fino al tramonto della sera. E piange, il destino. Lo fa e ti consola quando piangi tu, con le sue mani fredde a ghermirti la vita, la vita del corpo e la vita del tempo, ti dice che non è giusto mentre dal cilindro tira fuori un'altra partita persa.
È già successo altre volte, sì, dovevi capirlo, ma è andata così. Anche di questo si nutre il destino cattivo: di rimpianto e paura di non fare più in tempo. Lascialo andare, ricomincia da qui, da quest'aria che cambia e si sposta e trova la forza di dirtelo ancora: tu, sei così.
E ti descrive, in note e colori e dettagli di luce. Ti descrive e colora di forza potente, quella che contieni e la contieni da sempre. L'hai raccolta sui campi di mille battaglie, nei pianti e nei cori dei dolori affrontati: cori di vittoria, cori di sconfitta, cori di vita che squarcia la notte di guerre in salita.
Ricomincia dal corpo, dalle vene e dal sangue. Ricomincia dal volto che ogni mattina hai di fronte. Ricomincia dalla vita che ti è corsa incontro una volta scavalcato il burrone dell'inferno e del suo girotondo. Ricomincia dal vento, e dall'odore di terra e di erba tagliata.
Ricomincia dal cielo di una notte stellata. Ricomincia dal soffio di quell'anima tua, così tua e così forte con la sua armatura. Forte e poi dolce, dolce e poi dura: la vita che esplode e la vita che suda.
E' già successo, è così che funziona. Raccogli le tue armi e riparti da dove ti hanno costretto a fermarti. Ritrova la strada e percorrila con tutta la sete che senti nella gola e nella mente.
Alzati, scrolla la terra di dosso; scuoti le scarpe o toglile e corri. Sposta dal viso i capelli, libera gli occhi dal sonno dell'incantesimo di quel mago marcio. Apri le mani, raccogli la vita. Aggrappati al vento, dai un occhio alla vetta: sorridi, lo fai, è il sapore del fuoco che riprende a bruciare.
E parti di corsa, parti e non voltarti a guardare il burrone d'inferno.
Lascialo lì, lascialo indietro, lascia che soffochi nel suo fuoco spento.
È successo altre volte, ritorni a lottare. Conosci i tuoi limiti ma anche la forza.
La forza potente.
Quella che contieni e la contieni da sempre.
Ricomincia da qui: tu, sei così.
Ha forme e nomi diversi, ogni volta, ma parla una lingua che non ti lascia il tempo di pensare.
Sei lì e ascolti, perché ti piomba contro con una violenza tale da farti dimenticare dove ti trovi e dove sei stato negli ultimi scampoli di vita. E quello che senti ti gonfia il petto e ti soffia dentro ossigeno strano; ti scuote le spalle e ti grida in faccia la realtà che una forza sbagliata cercava di negare.
È già successo altre volte, vero? Ti sei dimenticato chi sei. E tutti i passi che mettevi davanti andavano a sbattere contro muri che non vedevi e ancora non vedi. Inciampavi nel sottobosco buio di quell'ombra sotto cui ti muovevi furtivo pensando di non poter appartenere alla luce del mondo che ti escludeva. E obiettivi mangiati dal tempo, traguardi bruciati dal sole nel deserto del niente.
È già successo altre volte, e dovevi saperlo. Dovevi sapere che funziona così, che questi sono i trucchi di quel mago marcio che è il destino avverso, quello che non esiste se tu non glielo permetti; quello che è costretto a vivere a metà se tu gli strappi di mano il cilindro e lo butti nel fuoco di quello in cui credi. Ti sorride benevolo ma mentre lo fa, sputa un odore dolciastro e stantio; ti tende la mano e ti porta a sederti su poltrone ripiene di vermi che, se non stai attento, prima o poi divoreranno tutto quello che hai, a cominciare dalla tua carne. Ti osserva da lontano ma ti fa credere di essere vicino perché senti il suo fiato sul collo dal sole che sorge al mattino fino al tramonto della sera. E piange, il destino. Lo fa e ti consola quando piangi tu, con le sue mani fredde a ghermirti la vita, la vita del corpo e la vita del tempo, ti dice che non è giusto mentre dal cilindro tira fuori un'altra partita persa.
È già successo altre volte, sì, dovevi capirlo, ma è andata così. Anche di questo si nutre il destino cattivo: di rimpianto e paura di non fare più in tempo. Lascialo andare, ricomincia da qui, da quest'aria che cambia e si sposta e trova la forza di dirtelo ancora: tu, sei così.
E ti descrive, in note e colori e dettagli di luce. Ti descrive e colora di forza potente, quella che contieni e la contieni da sempre. L'hai raccolta sui campi di mille battaglie, nei pianti e nei cori dei dolori affrontati: cori di vittoria, cori di sconfitta, cori di vita che squarcia la notte di guerre in salita.
Ricomincia dal corpo, dalle vene e dal sangue. Ricomincia dal volto che ogni mattina hai di fronte. Ricomincia dalla vita che ti è corsa incontro una volta scavalcato il burrone dell'inferno e del suo girotondo. Ricomincia dal vento, e dall'odore di terra e di erba tagliata.
Ricomincia dal cielo di una notte stellata. Ricomincia dal soffio di quell'anima tua, così tua e così forte con la sua armatura. Forte e poi dolce, dolce e poi dura: la vita che esplode e la vita che suda.
E' già successo, è così che funziona. Raccogli le tue armi e riparti da dove ti hanno costretto a fermarti. Ritrova la strada e percorrila con tutta la sete che senti nella gola e nella mente.
Alzati, scrolla la terra di dosso; scuoti le scarpe o toglile e corri. Sposta dal viso i capelli, libera gli occhi dal sonno dell'incantesimo di quel mago marcio. Apri le mani, raccogli la vita. Aggrappati al vento, dai un occhio alla vetta: sorridi, lo fai, è il sapore del fuoco che riprende a bruciare.
E parti di corsa, parti e non voltarti a guardare il burrone d'inferno.
Lascialo lì, lascialo indietro, lascia che soffochi nel suo fuoco spento.
È successo altre volte, ritorni a lottare. Conosci i tuoi limiti ma anche la forza.
La forza potente.
Quella che contieni e la contieni da sempre.
Ricomincia da qui: tu, sei così.
domenica 26 giugno 2016
Libera Recensione: Mattatoio n. 5, Kurt Vonnegut
"E alla moglie di Lot, naturalmente, fu detto di non voltarsi indietro a guardare il luogo dove prima c’era tutta quella gente con le sue case. Lei invece si voltò, e per questo io le voglio bene: perché fu un gesto profondamente umano.
Così fu trasformata in un pilastro di sale. Così va la vita.
La gente non dovrebbe mai voltarsi indietro. Sicuramente, io non lo farò più.
La gente non dovrebbe mai voltarsi indietro. Sicuramente, io non lo farò più.
Ora ho finito il mio libro sulla guerra. Il prossimo che scriverò sarà divertente.
Questo è un disastro, e non poteva essere altrimenti, perché è stato scritto da una statua di sale.” (Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5)
Questa è solo una parte, quella finale, del capitolo introduttivo di questo libro ed io a questo punto ero già sicura che fosse un libro di rara bellezza e di rara (seppur peculiare) saggezza.
Questa è solo una parte, quella finale, del capitolo introduttivo di questo libro ed io a questo punto ero già sicura che fosse un libro di rara bellezza e di rara (seppur peculiare) saggezza.
Mi aveva convinta, mi aveva già detto tanto, quasi tutto, di quello che mi aspettavo quando l’ho comprato.
Mattatoio n. 5 è un libro sulla guerra, quindi? Sì. Lo è. Lo è, a mio parere, in un modo non convenzionale e, proprio per questo, in maniera completa. Non è quel genere di libro che racconta e descrive strategie militari e narra nel dettaglio questa o quella battaglia. Non è un libro per gli “appassionati” di guerra. E’ un libro CONTRO, la guerra. Ed è contro in maniera profonda e dolorosa. In maniera reale e senza fronzoli. E’ indubbiamente contro ed è indubbiamente dentro, la guerra.
Dentro.
Sì, dentro.
Questa è la sensazione che ho avuto leggendo e quindi guardando attraverso la stranissima vita di Billy Pilgrim e i suoi improbabili viaggi nel tempo. La guerra permea questo libro dall’inizio alla fine: la seconda guerra mondiale e la terribile devastazione di Dresda, ma anche una guerra rimasta artigliata all’interno dell’animo.
Sì, dunque, Mattatoio n. 5 è un libro sulla guerra. E un libro CONTRO, la guerra.
E’ un libro che a me ha detto, forte e chiaro, che dalla guerra non si torna mai. Che ci si rimane impigliati per sempre. Che per quanto ci si sforzi, per quante impalcature si possano mettere intorno, anche soltanto parlarne diventa una missione di incredibile difficoltà.
E’ un libro che a me ha detto, forte e chiaro, che dalla guerra non si torna mai. Che ci si rimane impigliati per sempre. Che per quanto ci si sforzi, per quante impalcature si possano mettere intorno, anche soltanto parlarne diventa una missione di incredibile difficoltà.
Vonnegut dice di volere bene alla moglie di Lot, per aver volto lo sguardo indietro dove prima c’era tanto e poi più niente. E’ stato un gesto umano, dice, e lo credo anch’io, lo credo profondamente.
E allora io “voglio bene” a Vonnegut, non solo per essersi voltato a guardare… ma anche e soprattutto per aver avuto il coraggio di scavare.
E no, questo libro non è un disastro.
domenica 13 marzo 2016
Una mano è sempre protesa verso di me. Vuole prendermi. Non so se mi spiego.
È qualcosa che somiglia al rumore
del gesso nuovo sulla lavagna, o del vetro quando si incrina, solo che a
rompersi è sempre qualcosa dentro di me.
Ogni notte di più.
Ogni notte, sì, lei viene da me
tutte le notti.
Ho paura che prima o poi la mia
mente comincerà davvero a sciogliersi, e allora forse lei smetterà di venire.
È per quello che viene, per farmi
impazzire.
Lei, con i suoi occhi che vedono
mentre dovrebbero essere ciechi.
Lei, con le sue gambe rigide che
dovrebbero star ferme, e invece la fanno camminare.
Come fa? Come fa a camminare?
Come fa?
Eppure la sento… sembra
strisciare. Sento il rumore di qualcosa che sfrega il pavimento, ma ogni volta
che la guardo è ferma.
Ferma in un posto, ogni volta
diverso, con il suo sorriso stupido e demente e i suoi occhi spalancati e
impolverati.
Una mano è sempre protesa verso di
me.
Vuole prendermi.
Non so se mi spiego.
Vuole prendermi per trascinarmi
nell’inferno da cui viene e da cui, chissà come, è riuscita a scappare.
Cosa vuole da me?
Oh, gliel’ho chiesto, ma non mi
risponde. Lei ride. Ride e basta. Ride sempre.
Sottovoce… ride."
Tratto da Magdalene, di Marina Lizzi
disponibile in ebook e cartaceo anche al seguente link:
http://www.amazon.it/Magdalene-Marina-Lizzi/dp/8893068508/ref=sr_1_9?ie=UTF8&qid=1457717062&sr=8-9&keywords=magdalenedomenica 28 febbraio 2016
Povertà: l'abisso in cui non è difficile precipitare (il mio articolo su Blasting News)
"C'è poco da fare, se s'incontra quell'abisso e lo si vede rappresentato in un mucchio di coperte, non si può fare a meno di chiedersi come può essere così semplice "sgusciare fuori" dalla società
e da ciò che (almeno in apparenza) la compone. Viene da chiedersi anche
quali passaggi possano portare a quello e, se si ha il coraggio di
chiedere, si scopre che..."
continua a leggere blastingnews:
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http://it.blastingnews.com/opinioni/2016/02/poverta-l-abisso-in-cui-non-e-difficile-precipitare-00787483.html
mercoledì 6 gennaio 2016
Libera recensione - Acciaio, di Silvia Avallone
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Acciaio, di Silvia Avallone |
Sta bene.
Ed è questo che mi fa sorridere e piangere al tempo stesso. Non dico altro, a lei. Ma dentro, qualcosa si smuove. Il domino dei ricordi si è messo in azione. A volte rimane immobile e stabile sotto anni di polvere, nonostante l'equilibrio apparentemente precario e poi... poi una voce, un nome, un viso riemerge dal passato e la prima tessera cade, senza esitazione alcuna, dando inizio alle danze. Rimango così, per qualche minuto in silenzio. Non sono al tavolo di un pranzo Agennaio e non è il 2016. Sto urlando, sto urlando qualcosa di indefinibile in una sera d'estate di quasi 20 anni fa... il buio ancora non è sceso del tutto, è rimasto a metà strada tra l'imbrunire e la notte, fa caldo, e la vita è appena esplosa dentro di me e dentro gli amici che mi circondano. Sono seduta su un motorino sospeso sul suo cavalletto, intorno impazza il casino che solo noi eravamo in grado di produrre e generare. Il motorino non è mio...di un amico o del mio ragazzo di allora. Ridiamo. Ridiamo. Ridevamo anche quando non c'era quasi nulla da ridere, noi. E non era manacanza di rispetto, ma soltanto voglia di vivere.
Soltanto voglia di vivere.
Mia madre mi riscuote dai pensieri, mi chiede se voglio il caffè, adesso, nel 2016. Dico di no scuotendo la testa, mi alzo e accendo il pc: oggi è il giorno giusto per recensire Acciao. - penso - e così lo faccio. Lo spritz è finito e il calore dell'estate di vent'anni fa è più forte del sole svogliato del gennaio del 2016.
Io non conosco Silvia Avallone, della sua vita non so nulla. Ho provato blandamente a cercare notizie su di lei, volevo capire... capire se qualcosa potesse rimandare a dove e come è cresciuta, se da qualche parte si accennasse almeno lontanamente a qualche sua esperienza di gioventù. L'ho fatto perché solo chi ha vissuto "la strada", solo chi ci è cresciuto, solo chi ci ha lasciato amici sull'asfalto o sotto terra, sa parlarne. Solo chi ha provato a starci in mezzo in un certo modo, sa riconoscerla e darle sembianze abbastanza credibili da poter essere raccontate. Non ho trovato nulla, su di lei, ma c'è da dire che io sono una pessima ricercatrice, senza nemmeno una briciola di pazienza e metodo... mi affido quindi alla sua opera, e parlo di questa.
Acciaio è, senza troppi giri di parole, un capolavoro.
E a dirlo è una ragazza di periferia, a dirlo è una ex ragazza che per strada ha stretto legami, amori e patti di sangue. A dirlo sono io, che non sono nessuno, certo, ma che alcune cose almeno in parte le ho vissute e qui, tra queste pagine, io le ho riconosciute.
Ho riconosciuto la fatica, l'immensa fatica che appesantisce le spalle di alcune persone; e lo fa con costanza e tenacia. Ho riconosciuto la lontananza. La lontananza dell'irrangiungibile, quello che ad altri è concesso e a te invece no, e nessuno ti ha mai spiegato davvero perché. Ho visto la forza, potente e sanguigna, di chi quella fatica la vive ma vive anche altro, vive anche tutto quello che sta nel mezzo e che è fatto (specie ad una certa età che si aggira tra i 13 e i 15 anni) soprattutto di sogni astratti e aspirazioni titaniche. Ho riconosciuto l'amicizia. Quel tipo di amicizia. Quello che nelle grandi ville e nei bei giardini non esiste, e nemmeno nei curati appartamenti di città con i loro ordinatissimi parchi giochi. Ho visto la rabbia e la disperazione, la lotta della vita che vuole spaccare il cemento (o l'acciaio) come i fiori che in primavera si ostinano a sbocciare dove nessuno scommetterebbe mai su di loro. Ho visto gli errori. Indimenticabili, irrimediabili errori che si commettono in quella dimensione tutta fatta di vita allo stato puro e brado, quasi animalesco e selvaggio. Ho visto la rassegnazione triste di chi soccombe senza troppe grida, cade e rimane a terra e a terra impara a sopravvivere senza più pretese.
Ho visto il VERO.
In questo libro, Silvia Avallone dice semplicemente il VERO.
Dice il vero su una realtà di cui l'Italia è purtroppo maestra. Maestra in un senso primario, senza titoli o vane glorie. Maestra e narratrice di questi angoli di mondo grandi intere città ed intere generazioni. Come dice la stessa autrice nel libro: "Cosa significa crescere in un complesso di quattro casermoni, da cui piovono pezzi di balcone e di amianto, in un cortile dove i bambini giocanno accanto a ragazzi che spacciano e vecchie che puzzano? Che genere di visione del mondo ti fai, in un posto dove è normale non andare in vacanza, non andare al cinema, non sapere niente del mondo, non sfogliare il giornale, non leggere i libri, e va bene così?"
Non riesco ad esprimere diversamente ciò che provo per questo libro, mi sento solamente di dire grazie all'autrice. Se l'ha vissuto, almeno in parte, quell'intricato e complciato mondo fatto di sopravvivenza e sguardi aggrappati al futuro, per aver avuto il coraggio di parlarne; e se non l'ha vissuto, per aver avuto la capacità di scorgerlo, comprenderlo, raccontarlo così tanto bene da smuovere le terre nascoste di chi l'ha fatto.
E grazie, in ultimo, anche per la dedica all'inizio del libro: "a Eleonora, Erica e Alba le mie migliori amiche.... e a tutti quelli che fanno l'acciaio."
Perché io, qualcuno che in qualche modo e in parte "faceva" l'acciaio, l'ho conosciuto.
Era mio padre.
E' morto 21 anni fa.
Leggetelo, sono assolutamente certa che non ve ne pentirete...
Da questo libro:
"E una risata così violenta che anche da quella distanza, anche soltanto guardandola, ti scuoteva. Sembrava di entrarci davvero, tra i denti bianchi. E le fossette sulle guance, e la fossa tra le scapole, e quella dell'ombelico, e tutto il resto."
"Il mare e i muri di quei casermoni, sotto il sole rovente del mese di giugno, sembravano la vita e la morte che si urlano contro. [...] via Stalingrado, per chi non ci viveva, vista da fuori, era desolante. Di più: era la miseria."
"Perenne desiderio di scopare, là dentro. La reazione del corpo umano nel corpo titanico dell'industria: che non è una fabbrica, ma la materia che cambia forma."
"Alessio rise. Risero insieme, abbracciati e stanchi, alla luce della lampadina che pendeva dal soffitto e dell'alba che stava sorgendo. In quel momento, da dietro lo spigolo della porta, apparve Anna. Non disse niente. Rimase lì, pulita e scalza. Li guardava, non vista, come un piccolo angelo in pigiama estivo. Nel suo alfabeto, quella era una cosa molto bella. La sua mamma con il viso nell'incavo tra il collo e la spalla di suo fratello, era forse la cosa più bella. Quella per cui valeva la pena, nella vita, non barare."
"Non è qualcosa che perdi. E' qualcosa che perde te."
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