venerdì 12 aprile 2019

...e la mia anima è nata lì, in riva al mare.

Quasi nessuno lo sa, ma io mi chiamo Marina perché mio padre e mia madre si conobbero al mare, tanti anni fa… e si innamorarono là, sulle sue rive e, forse, da dove la mia anima si trovava allora io me ne accorsi, anche se sarei arrivata da loro solo molti anni dopo. La prima volta che vidi il mare non avevo nemmeno compiuto un anno. Mia madre mi racconta spesso di quella vacanza… dice che appena mi posò sulla sabbia, io corsi immediatamente a riva, col tipico passo di corsa traballante e incerto di chi ha appena imparato a camminare e, una volta lì, spalancai occhi e braccia e trattenni il fiato con un’espressione di meraviglia immensa sul viso tondo. Poi esplosi in un “QUAT’ACCA TUTTA PETTEVVA!!!” che nella mia mente voleva dire “quanta acqua tutta per terra!!” e chi mi era vicino scoppiò a ridere. Continuai a correre verso il mare per tutta la vacanza, era impossibile tenermi ferma e, di sera, per farmi addormentare serena mia madre era costretta a stare sveglia sulla terrazza dell’albergo da cui si potevano sentire le onde perché soltanto così, io che non dormivo mai, io che sin da piccola non sono mai stata capace di spegnere del tutto il rumore che avevo dentro, tacevo e finalmente riposavo. E siamo cresciuti insieme, io e il mare, anno dopo anno… in un legame che ha poco a che fare con il nuoto, con il prendere il sole e con lo stare in costume… Marina e il mare… era una questione di discorsi silenziosi, di pace interiore, era un incontro. Arrivavo e scappavo a riva ad abbracciarlo, me ne andavo e ogni ultima sera andavo a salutarlo… le mie mani tra le sue braccia liquide che arrivavano a riva, le mie lacrime, ogni volta che dovevo tornare a casa. Gocce salate nel sale delle onde… era semplicemente giusto così.
Poi, il mare mi è stato portato via per tanto, tantissimo tempo. Una tempesta terribile mi strappò mio padre, una tempesta di nome CANCRO, e la mia famiglia vacillò sotto i colpi tremendi del mentre e del dopo in modi che pochi possono dire di conoscere, davvero pochi, per la fortuna ottusa di molti.
Portarmi via il mare ha rischiato di uccidermi e, questo, io non riuscirò mai a farlo capire a nessuno se non a me stessa. Senza il suo potere io esplosi, dentro e fuori. Senza il suo mettermi in silenzio l’anima, io rischiai di perdermi. Sono dovuti passare molti anni prima che io riuscissi a rivederlo… anni duri, anni tempestosi. E quando lo rividi gli giurai che mai più, mai nessuno sarebbe riuscito a impormi di stargli lontana più di tanto. E lui capì. Lui capì e me lo disse, ma voi, tanto, a queste cose mica ci credete…
Ho appena rivisto il mare. Anche quest’anno cose più grandi di me, sommate all’egoismo di alcune persone, stavano cercando di portarmelo via ma, grazie all’AMORE, all’AMICIZIA e alla FATICA, sono riuscita a vederlo almeno per tre giorni.
Cosa volete che vi dica? E’ una magia e un destino, è una lingua che parlo soltanto con lui e… e allora ecco qui… La salita impervia verso una chiesa scavata nella roccia a strapiombo sul mare, la pioggia battente, il vento mischiato col sale… il buio della piccola, antichissima navata di pietra, un sospiro fresco e costante che entrava dalle porte e dalle fessure tra le rocce, le fiamme di candele ondeggianti ma accese contro ogni aspettativa… la corsa verso una porta spalancata, in un attimo sono fuori e… BAM! Il rombo del mare sotto di me, mare aperto e libero, che si infrangeva contro gli scogli di colline che sembravano appoggiate nell’acqua arrabbiata. E ha riso, lui, laggiù, io lo so. Ha riso di flutti e colpi, ha riso e rombato con le sue onde… e per me era un “Ciao” e un “Finalmente sei tornata, amica mia”- e io ho smesso di respirare… come mille anni prima, ho spalancato gli occhi e pianto… e quel pianto era un “sono tornata, sì, AMICO mio…” e quando ho ripreso fiato l’aria che è entrata era vita pura e potente, era aria frizzante mescolata alle grida dei gabbiani…. – E poi su un’altra riva, sotto le mura di un’altra città.. “Ci prendiamo un cartoccio di calamari fritti e una birra e pranziamo qui?” e sì, l’abbiamo fatto seduti su un balcone del porticciolo di Manarola, col sottofondo schiumante e le note del piano di un artista di strada abbarbicato con il suo strumento su un sentiero che saliva in cima al paese - E poi, due giorni dopo, quei vicoli stretti e colorati, come labirinti verso la riva… il rumore delle onde sempre più vicino, a ogni passo, a chiamarmi ridendo, a chiamarmi piangendo, a gridarmi di andare… ancora qualche passo ed ero di nuovo lì, all’esplosione del tramonto di un sole tiepido e dorato che si stava divertendo a dipingere l’acqua prima di cadere addormentato dietro alle colline. Ero di nuovo nel rumore di una magia che pochi riescono a comprendere, nonostante si tuffino tra le sue acque ogni anno o di più e spergiurino di amarlo… Ero di nuovo in una stretta di suoni e carezze capaci di acquietarmi. Ed ogni volta ho un anno, anzi di meno. Ogni volta sto correndo verso qualcosa che è irrimediabilmente mio, ogni volta il fiato mozzato, la meraviglia e il pianto. Ogni volta il silenzio, dentro, la pace dell’anima e dei pensieri febbrili che da sempre mi costringono a stare sveglia e all’erta. Ogni volta è un abbraccio tra me e quelle onde potenti, tra me e quel profumo di sale, tra me e il suo modo di pronunciare il mio nome che arriva da lui e che, chi lo sa, forse proprio lui ha suggerito all’amore dei miei genitori.
Come si fa, a spiegare questo?
Come si fa a spiegare il dolore del saluto finale e di che cosa è fatto?
Come si fa a spiegare quella forza, quella che esplode fuori da quelle onde infinite ed eterne?
Come ve lo spiego, io, che cos’è?

“Hai rivisto il mare, Bella?” mi dice mia madre al telefono
“Sì, finalmente…”
“E lui ha rivisto te.”
“Sì.”
“Non hai mai smesso di correre da lui…”

E non smetterò mai. Perché mi chiamo Marina

e la mia anima è nata lì, in riva al mare. Perché mi chiamo Marina e, il mare, è casa mia.

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