venerdì 8 settembre 2023

Sì, ho scritto un libro che parla di suicidio. E l'ho fatto per LORO.

Un soffio leggero - Marina Lizzi
 Sì.

Ho scritto un libro che parla di #suicidio

L'ho fatto perché credo che sia un mostro di cui tutti hanno paura ma nessuno ne parla.

L'ho fatto perché so che ha sfiorato la mente di molte più persone di quante non siano disposte ad ammetterlo.

L'ho fatto perché credo nella vita e credo anche nel dolore che alcune volte soffoca la voglia di viverla.

L'ho fatto perché prego e spero che sempre più persone si accorgano di questo mostro e abbiano la forza di parlarne e di scappare lontanissime dalle sue mani gelide.

L'ho fatto.

L'ho scritto.

È qui di fronte a voi, perché non esiste solo l'azzurro delle emozioni gioiose, e davanti a una percentuale così alta di giovani che si tolgono la vita, forse sarebbe il caso di provare a capire quel buio invece che fare finta che non esista.

Questo libro è per LORO.

Per tutti quelli che sono saliti sulla ringhiera di un balcone, sul cavalcavia di un'autostrada, sul davanzale di una finestra e, guardando giù, hanno sentito qualcosa che li chiamava, un mostro buio alle spalle che li spingeva.

Per chi è saltato giù, e anche per chi non lo ha fatto.

Per tutti quelli che hanno guardato il treno arrivare e fatto un passo oltre la linea gialla con il freddo nella pancia e nella mente e la voglia di credere che, dopo quel passo, tutto sarebbe finito... soprattutto il dolore.

Per chi quel passo l'ha compiuto in avanti e anche per chi, invece, per fortuna lo ha fatto indietro.

Per tutti quelli che hanno acquistato una corda da legare a un albero o ad una trave del soffitto.

Per chi ha mollato la presa con il mondo e anche per chi invece ha slegato la corda tremando di paura.

Per tutti quelli che hanno creduto che l'oblio dopo aver ingoiato decine di pillole sarebbe servito a smettere di soffrire.

Per chi le ha inghiottite e si è addormentato per sempre e anche per chi le ha buttate tutte nel cesso.

Per tutti quelli che hanno scritto biglietti piangendo alle loro famiglie e anche per chi non lo ha fatto, lasciando domande eterne e senza risposte.

Per LORO... e per chi gli è vissuto accanto e non ha visto e non ne ha nessuna colpa.

Per LORO... e anche per chi gli è vissuto accanto e ha visto ma non è riuscito a salvarli perché non sempre si può.

Per LORO... e anche per chi invece fa finta che LORO non esistano, che non siano migliaia ogni giorno, in ogni parte del mondo e di tutte le cazzo di età.

Per LORO e per TUTTI.

Perché non voglio più sentire di mostri bui che spingono giù dai balconi o sotto un treno, che ti aprono la bocca per infilarti dentro pillole bianche e amare; che ti legano il cappio intorno al collo sussurrandoti che dopo andrà meglio.

Per LORO e per TUTTI quelli che quel mostro lo hanno visto o sentito aggrapparsi addosso con i suoi artigli disperati.

Perché sempre più persone facciano un passo indietro all'arrivo del treno, perché scendano dalle ringhiere, si liberino delle corde e inizino finalmente a correre verso tutta la vita che li aspetta, con tutto il fiato che hanno in corpo, con tutta l'anima che gli vive dentro, con tutto il sangue che scorre, il cuore che batte, i polmoni che strappano il fiato ad ogni respiro e... VIVANO.

Potentemente, profondamente, VIVANO.

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SIAMO COLPEVOLI TUTTI

 SIAMO COLPEVOLI TUTTI

La strage di Brandizzo deve parlare alle orecchie di molti


Ogni giorno emergono particolari devastanti sulla tragedia di

Brandizzo e no, non voglio usare il termine "agghiacciante" perché si

usa sempre, si usa troppo, si usa quasi come intercalare nei fatti di

cronaca più dolorosi e tutto quel ghiaccio, forse, riesce a togliere un

po' di quel dolore terribile e dilananiante che invece non si può non

provare di fronte ad accadimenti di questo genere.


Quei tre avvertimenti non ascoltati


A fare più male, oggi, è quello scambio di telefonate pochi minuti

prima dello schianto. Quelle che racchiudono, a quanto pare, tre

alert inascoltati che dicevano chiaramente che lì, su quei binari, quei

ragazzi non potevano ancora andarci.

Antonio Massa, l’uomo scorta - ditta, addetto di Rfi, continua a

ripetere da giorni “Ho mandato a morire quei ragazzi...”, lo ripete sin

dai primi istanti, lo ripete in ospedale, lo ripete agli altri e a se stesso.

La procura di Ivrea lo definisce un uomo distrutto e, tutti noi, non

fatichiamo a crederlo.


Le telefonate intercorse tra lui e la tecnica di turno di Chivasso sono

state tre, sembra e, durante la terza, la comunicazione registra

l’arrivo del treno, il suo sferragliare, l’impatto terribile... le grida.

Le grida.

E lì, in quel momento, muoiono tutti e contemporaneamente tutti

falliamo. Muoiono i ragazzi, sì, ma non solo loro. Muore tutto quello

che il lavoro dovrebbe essere.


Di che cosa è figlia la tragedia di Brandizzo?


Perché, di che cosa è davvero figlia, la tragedia di Brandizzo?

No, non è figlia dell'uomo che ha dato il via libera ai lavori pur senza

averne il permesso;

Non è figlia dei macchinisti, che ora vivranno con quel rumore di

corpi e grida a perseguitarli giorno e notte;

Non è figlia di quei poveri lavoratori dilaniati dal treno;

Non è figlia tantomeno di chi, giustamente, non dava il via libera

perché non ce n'erano le condizioni.


Questa tragedia è figlia di questo mondo del lavoro marcio, avariato.

È figlia della paura delle penali, della corsa a un oro ormai povero e

impoverito, fatto di appalti miseri e insufficienti.

Questa tragedia è figlia di chi crede che lavorare veloci sia meglio

che lavorare bene; che finire prima sia meglio che finire giusto. È


figlia di chi obbliga gli uomini a somigliare alle macchine sotto la

minaccia di sostituirli con loro.


Tutti siamo colpevoli


Tutti sono colpevoli.

Quelle cinque vite, anzi no, quelle DECINE di vite: quelle dei cinque

operai, delle loro famiglie e amici, quelle dei macchinisti e delle loro

famiglie e amici, quelle dei superstiti e delle loro famiglie e amici...

Ecco, tutte queste vite uccise o rovinate sono sulla coscienza di chi

partecipa a questa scellerata discesa della qualità di fronte alla

velocità. Dell'automazione di fronte all'umanità, dello sfruttamento di

fronte alla dignità che dovrebbe regnare come unica r potente regina

in ogni luogo di lavoro e non solo.


Tutti SIETE colpevoli.

Tutti voi che credete che la vita dei lavoratori sia in vostro possesso.

Tutti voi che pensate che lavorare sia scendere a patti, anziché un

diritto.

Tutti, siamo colpevoli.


"Sono morti tutti... Sono morti tutti."

Dice l'ultima telefonata intercettata.


Sono certa che se la ascoltassimo con attenzione, si sentirebbero

anche i sospiri dolenti e rabbiosi di quelle anime appena strappate

dai corpi, come stracci, come carne da macello...

"Siete colpevoli, TUTTI."

Direbbero, mentre il mondo fatto di fatica e sempre più

incomprensibili ingiustizie diventava per loro un puntino lontano.

"Siete colpevoli tutti..."